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The Tony Scott Thunder Challenge: Una vita al massimo

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In cui Nanni Cobretti e Roberto Recchioni si sfidano a colpi di recensioni di film di Tony Scott, tutti, in ordine cronologico, con il reciproco contrappunto di Mauro Uzzeo (di qua) e Wim Diesel (di là). E voi applaudite.

The Tony Scott Thunder Challenge

Ma che titolo del cazzo. Ma che è, il prequel di Albakiara? Una vita al massimo! EEEEEEEEEEEEH!
Vabbè.
True Romance! Facciamo gli snobboni, chiamiamolo così, col titolo originale.

Colpa d'Alfredo

Nell’ultimo episodio RRobe ci ha mostrato cosa succede quando Tony Meraviglia Scott incontra il più grande sceneggiatore vivente; ne esce quella enorme pietra miliare della storia del cinema che è L’ultimo Boyscout. Ma quella onestamente era un’accoppiata a prova di bomba fin dalle premesse, pochi ne avrebbero dubitato. Chi invece, nel 1993, avrebbe scommesso sull’accoppiata Tony Scott – Quentin Tarantino? Ve lo dico io. Due persone. Tony Scott e Quentin Tarantino.
Parliamo di Quentin, nel nostro paragrafo sponsorizzato Wikipedia.
True Romance è la prima sceneggiatura scritta da Quentin Tarantino, nel lontano 1986, quando era ancora commesso in un videonoleggio. È il suo script più autobiografico: il protagonista Clarence Worley è modellato su se stesso, simile lavoro, simile passione per film e fumetti, simili tendenze asociali. Quentin cerca di venderlo per anni, ottiene l’interesse di una piccola compagnia che vorrebbe farlo girare a William “Maniac” Lustig e con questa scusa se lo tengono lì a risistemare gli altri script che stavano producendo al momento. Di conseguenza diventa progressivamente disilluso e passa ad altro, scrivendo prima Natural Born Killers e infine Le iene, quest’ultimo volutamente piccolo ed economico per essere sicuro di riuscire a girarselo da solo. Poi tramite una collaboratrice conosce Tony Scott a un party: da grandissimo fan di Revenge e Giorni di tuono (parole sue), attacca bottone e gli fa leggere i suoi script. Tony, impressionato, punta prima Le iene, poi opziona True Romance. Nel frattempo Tarantino riesce a girare Le iene e diventare all’istante un nome caldissimo a Hollywood: è anche in questo modo che Tony riesce a far su un cast impressionante per il suo film, mentre Quentin era già passato oltre e aveva deciso di non disturbarlo per concentrarsi a preparare Pulp Fiction. Fine del paragrafo sponsorizzato Wikipedia.
La trama è l’ABC della Tarantinata: Clarence (che dovrebbe essere un geek sfigatello e semi-vergine ma è interpretato da Christian Slater, principalmente perché Tobey Maguire non era ancora stato inventato) conosce Alabama (Patricia Arquette) a un triple bill di Sonny Chiba (Sonny Chiba). I due trombano, lei confessa di essere una neo-troia al primo cliente e di essersi innamorata, lui non si scompone, si sposano, lui va ad ammazzarle il pappone per essere sicuro di non avere casini.
Pausa: il pappone, Drexl Spivey, lo fa Gary Oldman con faccia tagliata, occhio di vetro, dreadlock lunghi un braccio e accento giamaicano. BOOM.
Dicevamo: Clarence ammazza Drexl (spoiler?) e si ritrova con una valigia piena di cocaina non tagliata. La prossima mossa, ovviamente, è andare a Hollywood a rivenderla in blocco a qualcuno che se la può permettere. Altrettanto ovviamente non si rivela una cosa facile.

Bollicine

Ora: dirigere un film d’azione con dialoghi fighissimi è un conto, e Tony Scott, da bravo regista prettamente visuale, ci sguazza. Ma dirigere una sceneggiatura quasi interamente basata su dialoghi e personaggi, per di più del tipo schizzato di cui Tarantino è specialista, per di più nel ’93 quando a scrivere quelle cose c’era solo Quentin perché non si era ancora fatto in tempo a copiarlo, è un altro sport.
E qui Tony Meraviglia fa la magia.
Innanzitutto si rende le cose un pelino più facili prendendo lo spezzettato script originale e rimontandolo in ordine cronologico. Dopodiché – anche se True Romance alla fine dei conti è una specie di film corale strutturato a scenette – decide che il titolo ha importanza vitale e ne fa l’ancora di tutto il resto: la storia dei due protagonisti è il prototipo della favola moderna, il sogno bagnato del geek, la fantasia violento-romantica definitiva.
Il risultato, come per L’ultimo boyscout, è uno dei rari casi in cui l’unione fra due artisti è davvero uguale alla somma del loro talento. True Romance ha tutta la forza travolgente delle storie di Tarantino, più la classe e il dinamismo dei film di Scott: Quentin ci mette la violenza, la durezza, la vita da strada, il sarcasmo, gli schizzi di pop culture e un pizzico di sognante ingenuità, e Tony dipinge tutto filtrandolo attraverso gli occhi di Clarence e Alabama, che a dispetto di tutti gli incredibili ostacoli che incontrano rimangono immersi nel loro mondo, non smettono mai di guardarsi reciprocamente con gli occhi a forma di cuore e non perdono mai un solo grammo di rilassata fiducia nel loro destino. È l’energia e la freschezza tipica delle produzioni indipendenti, ma girata con la patina e la tecnica superba delle grandi produzioni: le due cose per una volta non si soffocano, ma si esaltano a vicenda. Tony dimostra quindi di aver capito perfettamente il materiale a disposizione e di sapercisi mettere al servizio, e ciò che si ottiene, nelle immortali parole di Hannah Montana, è the best of both worlds.
Le scene simbolo sono tre:
1) la più famosa e tarantiniana: il dialogo tra il mafioso siciliano Vincenzo Coccotti (Christopher Walken) e il padre di Clarence (Dennis Hopper). Uno script perfetto al dettaglio, due attoroni in stato di grazia, e Tony che serve il tutto oscurando il background e illuminando la performance. Risultato: roba che fa venire la pelle d’oca ogni santissima volta.
2) la più tonyscottiana: la sparatoria finale. Tre fazioni schierate ad armi spianate, lo spazio ristretto di un salotto, e Tony che gioca a fare il Peckinpah tra rallenty, inquadrature di sbieco, montaggio serrato, piume che svolazzano come neve, in un epico balletto che nemmeno il Quentin di adesso avrebbe la minima idea di come coreografare.
3) il meglio di entrambi: la rissa tra Virgil (un semi-esordiente James “Sopranos” Gandolfini) e Alabama, lui intensissimo e terrorizzante, lei inaffondabile e animalesca, nessuna esclusione di colpi, nessuno sconto al gentil sesso, vetrate che si spaccano, tavolette del cesso che non si spaccano e proprio per questo fanno ancora più male, e abbastanza violenza da imbarazzare la censura.

C'è chi dice no

E l’elenco di personaggi e attoroni che non ho ancora citato è lunghissimo: Val Kilmer, mai inquadrato in faccia, fa il fantasma di Elvis Presley; Brad Pitt fa il coinquilino fumato e ruba la scena ogni volta che appare; Saul Rubinek, il biografo mammoletta di Gli spietati, fa il rampante produttorone hollywoodiano; Michael Rapaport e Bronson Pinchot fanno gli aspiranti attori, il primo tenero e sfigatello, il secondo ancora più sfigato e a mio avviso il migliore del mucchio dopo Walken e Hopper; Tom Sizemore e Chris Penn fanno i poliziotti, della serie “giochiamocela facile”, mentre Ed Lauter (Il giustiziere della notte 3, The Artist) (erano mesi che sognavo di scrivere quella parentesi) è il loro capo; un Samuel L. Jackson pre-Pulp Fiction appare brevemente nel covo di Drexl, mentre i 12 secondi di comparsata di un Jack Black ancora magro finiscono dritti tra le scene tagliate. È c’è pure la badante cicciona di Due uomini e mezzo.

Ma dicevamo il finale.
Per Quentin, Clarence doveva morire. Per come la vedeva Tony invece, Clarence e Alabama stavano vivendo la favola perfetta e come tale il lieto fine era obbligatorio. È finita con Quentin costretto ad ammettere che aveva ragione Tony (spoiler, stavolta sono sicuro).
Comunque: il film esce in sala nel settembre 1993 e, colpa anche di un trailer orribile, non lo va a vedere nessuno.
Oggi invece è uno dei titoli più venduti del catalogo Warner, ed è considerato il capolavoro di Tony Scott.
Tranne per noi fancalcisti, che lasciamo giustamente in cima L’ultimo boyscout, e per quello scemo di Quentin Tarantino che insiste su Revenge.

Il commento di Mauro Uzzeo:
In amore sono tre le cose che si devono fare. La prima è farsi notare. La seconda è smettere di farsi notare. La terza è farsi. Vicendevolmente farsi.
Dinnanzi al Vero Romanticismo, giovani sceneggiatori sfoggiano le loro carte migliori, acclamati registi smussano i loro angoli al servizio del racconto, e uno stuolo d’attori mozzafiato illumina l’eterno splendore delle menti immacolate di Alabama e Clarence.
Alabama: “Ho fatto bene la mia parte?”
Clarence: “Sei stata perfetta.”
A: “Come una ninja?”
C: “Come una ninja. Vado a cercare qualcosa da mangiare.”
A: “Io mi butto in vasca, faccio un bel bagno di schiuma, poi salto sul materasso ad acqua e mi metto a guardare film porno finché non torni. Vieni presto. Ti aspetto.”
C: “Fa conto che sono già tornato.”
E poi la violenza, la notte sul tetto col plaid, il sapore dei bignè, il sangue sugli occhi, una stanza di piume, un divano all’aperto e un cavatappi puntato verso l’alto, perché – fino all’ultimo – l’amore vero va difeso. Quelle volte in cui scopri che la somma di uno più uno non è due, ma sempre uno, un uno migliore, indivisibile. Fatto di una sostanza impalpabile e rassicurante.
“Mi dispiace. Non devi preoccuparti di niente. Andrà tutto liscio.”
La bugia? No. La consapevolezza.

La consueta incredibile illustrazione di Massimo Carnevale

DVD-quote:

“The best of both worlds”
Nanni Cobretti, i400calci.com

>> IMDb | Trailer

Per l’altra parte della sfida, leggetevi la rece di RRobe di Allarme rosso, con commento aggiuntivo del nostro Wim Diesel.


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